Eccomi come di consueto a raccontarvi del mio viaggio estivo… ehm, forse dovrei dire autunnale quest’anno. In realtà il programma originale prevedeva un giro solitario di 30 giorni in Nuova Zelanda in novembre, ma poi degli impegni lavorativi per quel periodo mi hanno costretto a cancellarlo. Senza pretendere di salvare anche la capra, ho messo al sicuro i cavoli programmando un’uscita più breve, di 15 giorni, in Irlanda. In realtà alcuni (troppi) di questi 15 giorni, li ho trascorsi in Inghilterra. Ecco ciò che ho scritto quando ne avevo voglia. Per informazioni, domande, o altro, il mio indirizzo è mb ar italpro.net.
Lunedì 22 settembre
Quest’anno ho viaggiato con un mio amico, che qui indicherò come Gabriele poiché quello è il suo vero nome. La formula scelta questa volta non è stata quella dell’inter-rail, dal momento che probabilmente esso poco si adatta al girovagare per la sola Irlanda, ove è spesso necessario ricorrere ad autobus ed altro.
Siamo partiti da Trieste con la solita mitica RyanAir, che ci ha portati a London Stansted. Da lì, dopo aver rifatto il check-in (RyanAir è una compagnia “punto a punto”, e non gestisce l’inoltro dei bagagli) abbiamo raggiunto Dublino. Rispetto ai 28 gradi ed al sole che in quel momento splendeva sul Friuli, devo dire che l’Irlanda ci ha accolti in maniera alquanto rigida: freddo e pioggia. Va beh, alla fine anche questo è il fascino dell’autunno celtico. Per raggiungere il centro ci siamo serviti dell’Airlink, che per EUR6.00 ci ha lasciati di fronte al Trinity College, non lontano dall’Avalon House dove dovevamo dormire. L’ostello, di vecchia data, si è rivelato piuttosto pregevole: cucina, accesso ad Internet ad EUR1.00 per 15 minuti (3 terminali + uno gratuito da utilizzarsi solo per la prenotazione degli ostelli) e clima piuttosto tranquillo. Beh, non solo tranquillo: anche freddino, poiché la finestra del dormitorio veniva lasciata aperta tutta la notta, cosa che mi ha subito causato un brutto mal di gola.
La sera abbiamo ovviamente perlustrato i pub del centro, partendo dal famoso Temple Bar per poi proseguire all’ottimo Quay; alle 23.30, come da manuale, la band ha finito di suonare ed il banco ha smesso di servire drink. A mezzanotte, la chiusura. Ho assaggiato la Guinness dublinese, visto che adoro la fantastica scura. Sebbene sia superiore alla versione “continentale”, devo confessare che la differenza non è così marcata come molti degli italiani che sono stati in Irlanda cercano di far credere a chi non vi è stato. Insomma, è più buona, ma anche quella continentale è deliziosa. Guinness a parte, sono rimasto sorpreso dal fatto che le birre più diffuse nei pub di Dublino abbiano ben poco di irlandese: Budweiser, Heineken, Miller, Stella Artois, Carlsberg. Al di là di questo, i pub mi hanno lasciato un’impressione iniziale piuttosto favorevole: tutti in scioltezza e si beve, forse anche troppo. ;-)
Al ritorno in ostello siamo riusciti a farci riconoscere. Anzitutto abbiamo dovuto chiamare il ragazzo della reception affinché ci spiegasse come inserire la moneta nel tavolo da biliardo per ottenere le palline: quando è venuto aveva una faccia da “ma guarda questi che impediti”. Poi non trovavamo la pallina bianca, ed abbiamo dunque giocato senza, tirando con la nera stando attenti a non farla cadere in buca; alcune ragazze hanno notato la cosa, io gli ho detto che la bianca non c’era e loro (gentilissime) ce ne hanno portata una da un altro tavolo. Pochi secondi dopo mi sono accorto che (come in tutti i tavoli da biliardo a gettoni) la bianca usciva dal lato opposto del tavolo rispetto a quelle colorate; non appena l’ho individuata, allo scopo di scongiurare una figuraccia sicura, l’ho presa e, con una velocità degna di Lupin, me la sono messa in tasca, riponendola nel tavolo solo la mattina dopo. Eh!
Martedì 23 settembre
Avevo sonno, ma Gabriele alle 7.30 era già in piedi, e dunque alle 8 mi sono dato una mossa a mia volta. La colazione “Avalon” è: decente: un muffin, una banana, ed un caffè.
La prima cosa che abbiamo visitato è stato il Trinity College, di cui abbiamo in realtà effettuato solamente un breve periplo attraversando il cortile interno. Attendevamo infatti il piatto forte: dopo una Heineken mattuttina abbiamo fatto decisamente rotta verso la fabbrica della Guinness, a St. James Gate. L’esposizione è stata interessante, abbastanza in grande stile; la pinta finale al Gravity Bar (bella vista sulla città) meritava da sola il prezzo del biglietto.
Dopo pranzo abbiamo ritentato i monumenti, scegliendo il Dublin Castle: carino, in particolare è valsa la pensa visitare le fondamenta del vecchio castello medievale. Terminata la visita, Gabriele mi ha proposto “perché non facciamo due passi ed andiamo a vedere il mare?”. “E va beh”, ho detto io. Ma… due passi?!? Mare?!? Abbiamo camminato un’ora (ed un’altra ci è servita per tornare) per giungere in un puzzolente e trafficato portaccio commerciale, dove è stato peraltro possibile solamente intravedere l’acqua. Grrrrr.
A seguito di un adeguato riposo in ostello, abbiamo scoperto un concerto dei (forse) emergenti Captain Soul al Wheler. La band era buona, molto “anni ‘60”, e c’era anche il loro manage Alan McGee, che in passato già aveva scoperto gruppi quali Oasis ed Hives. Il rock club era a sua volta discreto, anche se mancava del tutto una pista per ballare.
Mercoledì 24 settembre
Abbiamo lasciato Dublino. Nel complesso la città mi è sembrata piacevole, divertente, e rilassante. Era un po’ sporca a dire il vero, ma va beh, in Italia siamo abituati a città non esattamente linde. ;-)
Per spostarci a Kilkenny abbiamo preso un treno, alla modica cifra di Euro 18.00 a/r per una tratta brevissima; non che il biglietto di ritorno ci servisse a qualcosa, ma la sola andata costava esattamente la stessa cifra. La principale compagnia ferroviaria irlandese (Ianrród Éireann) non è male: i treni sono un tantino scalcinati, ma il loro lavoro lo fanno.
Giunti a Kilkenny, abbiamo preso posto al Rose Inn. Quale sciagura!!! Il porto era bellissimo, molto accogliente e curiosamente labirintico, con molte ampie stanze stipate in poco spazio su più piani collegati da ripide scale. Il problema è stata la vecchia signora che gestiva il B&B. Benché simpatica, ha tentato subito di farci pagare Euro 25.00 a testa a notte, quando al telefono mi aveva promesso 20.00; fattale notare la cosa, per fortuna ha fatto marcia indietro. Poco più tardi le abbiamo chiesto quale fosse l’ora limite per il rientro nottuno, e ci siamo sentiti rispondere: “state tranquilli, potete suonare fino alle 2 e qualcuno vi aprirà”. Rientrati a mezzanotte, dunque in largo anticipo, abbiamo dovuto constatare che nessuno sentiva il campanello (nessuno c’era?). Solo la fortuna ci ha evitato di passare la notte sugli scalini: un ragazzo doveva far scendere una ragazza che si trovava all’interno del B&B e, vedendo che col campanello non combinava, l’ha chiamata al cellulare. Questa è scesa, ha aperto, e noi siamo potuti entrare.
Ma torniamo alla normale linea del tempo. Una volta sistemati i bagagli, abbiamo visitato il castello (pregevole, con un parco stupendo) ed una vicina abbazia, dalla cui torre abbiamo potuto godere di una vista decisamente superiore su Kilkenny. Poco distante dal luogo sacro (ah, bello anche il cimitero con croci celtiche storte e via dicendo) si ergeva un grazioso pub, con tanto di biliardo: oltre che con la stecca, mi sono cimentato nel divoramento di una gigantesca patata al forno farcita di formaggio e prosciutto, servita con insalata verde.
La sera abbiamo ascoltato della piacevole, ed anche tecnicamente impegnativa, musica tradizionale in un pub del centro. Ero un tantino raffreddato, lode al cielo che non ho dovuto dormire fuori!
Giovedì 25 settembre
Kilkenny è una deliziosa cittadina medievale, e merita assolutamente una visita. Inutile tuttavia fermarsi troppo, a meno che non si desideri visitare la campagna circostante. Non era questo il nostro caso e, dunque, su suggerimento di un signore ed una signora precedentemente incontrati in treno, ci siamo mossi verso Doolin, saltando la programmata notte a Cork. In seguito ad alcune avvenutre in autobus, che per un pelo non hanno fatto si che giungessimo direttamente a Galway, siamo arrivatii a Limerick. In attesa della coincidenza per Doolin abbiamo gironzolato per il centro della città: nulla di speciale sul piano architettonica, ma l’idea che Limerick mi ha lasciato è quella di una città “vera”, poco turistica, da scoprire lentamente. Questo avverbio natualmente nulla aveva a che fare con il nostro stile di viaggio, e quindi ci siamo dileguati nelle tenembre alla volte del remoto Burren (County Clare; Euro 12.00 di autobus). Dall’autobus non si vedeva praticamente null’altro che campagna avvolta nel buio, e la piccolissima ma vivace Lisdoonvarna ci era parsa una Las Vegas comparsa letteralmente dal nulla. La nostra meta era tuttavia la “sparsa” Doolin, che abbiamo raggiunto pochi minuti dopo.
L’autobus is è fermato direttamente all’ostello, l’affollato Paddy’s. Siamo subito usciti al pub di fronte che, considerate le 200 anime di Doolin e la sua lontananza da tutto, era gremito all’inverosimile di gente proveniente da tutto il mondo. C’era anche musica dal vivo, un due chitarra+fisarmonica che proneva, naturalmente, folk irlandese.
Venerdì 26 settembre
Doolin sarà anche in mezzo al nulla, ma allo stesso tempo si trova al centro di ciò che conta in Eire: Burren, Dolmen, Cliffs of Moher e traghetto per le isole Aran.
Noleggiata una bicicletta al Rainbow Hostel and B&B (10 Euro), abbiamo pedalato fino ai vicini (ma che salita, roba da Fiandre) e grandemente spettacolari Cliffs of Moher, le scogliere a picco sull’Oceano Atlantico, una camminata sulle quali assume un senso davvero tutto suo. Benché i cliffs siano di fatto assaltati da orde di turisti, la zona è così grande che non risulta un problema camminare in tranquillità e scattare qualche bella foto.
Rientrati a Doolin abbiamo deciso di addentrarci nel Burren, servendoci sempre della due ruote un po’ troppo “cittadina”. La zona presenta un paesaggio lunare simile a quello visibile in zona Carsica, nella mia fantastica regione, il Friuli - Venezia Giulia. Dopo un bel po’ di chilometri, è successo l’inconveniente: la bici di Gabriele si è rotta irreparabilmente, costringendoci pertando a rientrare a piedi, rinunciando alla pedalata fino al faro di Black Head.
Tornati in ostello, abbiamo potuto constatare come in effetti (come dice il Lonely Planet) Doolin fosse piena di teteschi (vedi The Snatch, di Guy Ritchie). Pare infatti che essa sia meta di una specie di pellegrinaggio, in quanto città di origine della famiglia tedesco-irlandese dei Kellys, musicisti che sinceramente non avevo mai sentito nominare.
La sera abbiamo girato tutti i pub dell’upper village (2), e ovviamente abbiamo chiuso da O’Connols nel lower village, dove ci eravamo intrattenuti anche la sera prima. La musica era opera di una bella violinista, che suonava folk assieme ad altri tizi. Ho per caso conosciuto il ragazzo della violinista (eh!), alcolizzato e dedito unicamente al gioco d’azzardo nel retro del locale.
Sabato 27 settembre
Il traghetto per le isole Aran è stato un po’ una sorpresa: si trattava di un piccolo peschereccio, simpatico. Viste le dimensioni ridotte, l’imbarcazione non salpa in caso di vento forte, quindi chi vuole raggiungere le Aran da Doolin è avvisato. La breve traversata (un’ora circa, ma ben 20 Euro) ci ha permesso di ammirare Inisheer e Inishaal prima di giungere alla più grande, e piuttosto turistica, Inishmor. L’impressione che ho avuto dell’isola è stata molto piacevole, anche se mancava quella sensazione di “remotezza” che altri luoghi isolati dalla terraferma mi hanno invece dato. Probabilmente è troppo vicina alla costa. ;-)
Noleggiate due bicilette, ci siamo immediatamente dedicati all’esplorazione dei siti più interessanti. Impressionante è stata la fortezza sulla scogliera, ed i suoi dintorni. Il mare che si infrange violentemente sugli scogli è spettacolare, anche se per ben apprezzare il fenomeno è necessario prendersi un piccolo ma significativo rischio di caduta nell’oceano.
Siamo tornati dopo poche ore: l’isole è abbastanza piccola e girarla in bici non è un problema; di fatto probabilmente servirebbero due giorni per vedere realmente tutto. La sera abbiamo coinvolto il nostro compagno di stanza in ostello in una sana sbronza, la mia prima (e l’unica) di tutto il viaggio. La sede dell’evento era un notevole pub a 20 minuti di cammino (o 2 di taxi a 2 Euro) dall’ostello: c’era bella musica, ed una notevole folla composta sia da indigeni che da turisti.
Inishmor mi è parso un posto da non perdere in una visita in Irlanda, poiché ne rappresenta praticamente il meglio per quanto riguarda la spettacolarità delle coste, rimanendo un luogo abbastanza tranquillo nonostante gli abbondanti turisti. In particolare la presenza di italiani era massiccia. L’ostello, vicino al porto e con pub annesso, era ottimo, con tanto di warden australiano tuttofare. Peccato quella sera non ci fosse l’acqua calda…
Domenica 28 settembre
Tempo di salutare le Aran. Di prima mattima ci siamo imbarcati sul ferry (Euro 10.00) per Rossavel, sulla costa del Connemara. Da lì siamo rapidamente giunti a Galway in autobus.
Galway è bella, ed era anche abbastanza vivace nonostante fosse domenica pomeriggio. Qui ho tentato di acquistare un classico berretto irlandese per un mio amico ma mi sono imbattuto in un problema che sembra affliggere tutte le marche di berretti in Irlanda: la taglia L è troppo stretta per la mia testa (simile a quella del mio amico), e la XL troppo grande. In compenso sono riuscito ad comperare qualcosa per la mia stellina!
Dopo aver tentato, peraltro senza riuscirvi, di dormire un po’ (ero davvero scapottato dalla sera prima), siamo usciti alla volta di un pub molto grande e molto fico, dove la band suonava cover di Springsteen e altri: fantastico! Un tedesco, vedendomi sempre senza bicchiere (non ce la facevo proprio a bere) mi ha detto che una cosa del genere per lui e qualsiasi suo connazionale sarebbe intollerabile: bisogna sempre avere il bicchiere in mano.
Lunedì 29 settembre
L’Eire è finita, ma l’Irlanda continua. Dopo aver letto sull’Irish Independent qualche informazione sul blackout che ha colpito l’Italia, ci siamo accomodati sul Bus Éireann per Derry (Euro 22.00). Da un italiano (a Galway per uno stage) ho avuto conferma dell’estrema scalcinatezza dei trasporti in Irlanda. Terribile la tratta in bus: le strade erano asfaltate per un Camel Trophy, che peraltro l’autista non disdegnava affatto, cimentandosi ad alta velocità in curve al limite del fattibile (con una corriera).
Il confine tra Eire ed Ulter è veramente invisbile: non c’è nemmeno un cartello, anche se poi sono tante le piccole e grandi cose che fanno sembrare Derry effettivamente una città dell’UK. A proposito, è molto bella: meritano una visita almeno il centro tra le mura, la zona protestante/unionista con i murales e le union jack, il sito della bloody sunday anch’esso ricco di murales. Abbiamo dormito all’eccellente (amichevole e sciolto) Derry City Independent Hostel.
Ciò che succede a Derry alle 18 circa è piuttosto impressionante: le strade praticamente si svuotano, e si vedono in giro solo sporadiche macchine, rari pedoni, e mezzi blindati sia della polizia che dell’esercito. Di fatto non è un coprifuoco, poiché andare in giro non solo è consentito, ma è anche ritenuto sicuro. Tra l’altro, vi sono telecamere, disseminate un po’ ovunque, che tengono la situazione sotto controllo.
Dopo aver pasteggiato all’ottimo ed economico The Ice Wharf (in Strand Road), su consiglio della (troooooooppo gentile) ragazza che gestiva l’ostello, abbiamo optato per ascoltare un po’ di Irish music al pub O’Donnel; non c’era molta gente, dunque ci siamo spostati in un altro locale dove c’era un karaoke ed un autentico delirio. Ho anche conosciuto un tipo che ha cercato di insegnarmi, senza alcun successo, qualche parola di gaelico.
Martedì 30 settembre
Il pellegrinaggio verso il Giant’s Causeway è stato un tantino intricato, poiché per percorrere una distanza nemmeno poi grandissima è stato necessario ricorrere a due treni ed aun autobus. Tra l’altro, i treni dell’Ulster sono realmente delle carrette: le porte non si aprono dall’interno, quindi all’arrivo in stazione si deve abbassare il finestrino, mettere fuori la mano, ed aprire dall’esterno. Il Giants Causeway ha ampiamente ripagato il tempo ed i soldi spesi per giungervi: gli esagoni sono spettacolari, e ci siamo cimentati in foto al limite della caduta nell’oceano di uno di noi due.
Anziché rientrare a Derry, abbiamo proseguito per Belfast, e qui sono stati necessari una corriera, un treno e diverse ore. In compenso, la corriera era l’Antrim Coastal Steamer, che ha percorso quasi tutto il tragitto a ridosso della fantastica costa della contea Antrim.
Alle 20, ora del nostro arrivo, Belfast era desertica e sorvegliata come Derry, con la differenza che qualche persona in più in giro la si vedeva. Per sole UKP 6.20 a testa, il pregevole ostello Linen House ci ha accomodati in un camerone da 20 persone: porse un po’ troppe per dormire bene, ma alla fine ciò aveva un’importanza secondaria. Senza nemmeno fare la doccia o cenare, abbiamo tentato 3 pub. Uno di essi, il Rotterdam, era tra i migliori che io abbia mai visto: vicino al porto, piccolo, con un’aria da postaccio per rozzi pescatori, con la band che suonava jazz. Il barista è stato squisito con noi, parlandoci un po’ di Belfast, regalandoci una piccola guida, ed accompagnandoci fuori quando abbiamo deciso di andare via. Mitica Belfast!
Mercoledì 1 ottobre
La mattina abbiamo visitato West Belfast. La zona è spaccata in due, come Berlino in altri tempi, da un muro, sempre sorvegliato da telecamere ed i cui numerosi cancelli aprono solo di giorno. Così come a Derry, anche a Belfast abbondavano i magnifici murales, soprattutto nella zona unionista (Shankhill Road). È curioso che la zona centrale sia del tutto estranea a questi problemi.
Nel pomeriggio abbiamo fatto un giro nella zona sud. Sembrava di essere in un’altra città, più tranquilla. Abbiamo visitato la zona universitaria, il giardino botanico ed il grande (nonché gratuito) Ulster Museum. La mia idea è che alcune delle opere lì esposte siano vere e proprio croste, ma nel globale il museo risulta godibile e merita certamente una visita.
Al Crowne Liquor Saloon sono passato accanto alla corona, senza calpestarla, cosa che suppongo faccia di me un unionista. Ci siamo seduto in uno dei “privee” (insomma, in uno dei tavoli, che sono visivamente separati dal resto del locale). Dopo alcuni minuti sono giunte delle ragazze che ci hanno chiesto se potevano sedersi assieme a noi (non c’erano in effetti altri tavoli liberi), e noi abbiamo acconsentito. Si trattava di due tipe sui 27-30 appena carine, e di altre 3 piuttosto brutte con un’età variabile tra i 40 ed i 45 anni (a stima). Erano folgorate: due delle vecchie carampane volevano assolutamente un bacio “profondo” da noi. Io, sentimentalmente impegnato, ho declinato, ma Grabriele non aveva scuse, ed ha dovuto cimentarsi nel terribile gesto amatorio. Comunque, al di là di tutto, le ragazze erano piuttosto simpatiche!.
La sera era già tempo di andare al porto (in taxi, poiché il terminal della Norse Merchant Ferries era lontanissimo) per imbarcarsi sul ferry per Liverpool (8 ore, EKP 35.00, senza cabina ma con cena e colazione). Nonostante un ritardo di 2 ore sul previsto imbarco alle 20.30, siamo rimasti soddisfatti, poiché praticamente si poteva mangiare quanto si riusciva, siccome nessuno controllava quante volte ci si serviva al buffet.
Giovedì 2 ottobre
La traversata Belfast-Liverpool è stata una soluzione di ripiego, decisa a Derry quanto è fallito il piano orginale che prevedeva di fermarsi all’Isola di Man. Eravamo purtroppo fuori stagione, e non c’era più un servizio di ferry quotidiano. Sigh!
La traversata è stata ok, sono persino riuscito a dormire 6 ore sugli scomodi e freddi divani del salotto del ferry, con la TV con Sky Sports a tutto volume sopra di me; a quanto ho sentito, devo essere stato l’unico a combinare di dormire decentemente. Giunto a Liverpoool, un ragazzo inglese ci ha dato una mano a capire come arrivare in centro utilizzando l’intricata rete di trasporto pubblico.
Abbiamo preso posto al piacevole (ma costoso, UKP 15.00 a notte 16.00 nel week-end) International Inn. L’unico difetto di questo ostello era che praticamente cadeva a prezzi. Il letto a castello su cui dormivamo si è aperto come una pera matura (roba da ammazzarsi): Gabriele si è spostato sul letto libero accanto, mentre io ho dovuto farmi ricollocare in un’altra stanza. Nel frattempo, la mensola della specchiera ha ceduto, così come la panca nell’area comune, su cui ero seduto. Nella stessa sala, Gabriele ha appena toccato un tavolino ed una delle gambe si è staccata. Dulcis in fundo, nella mia nuova stanza la finestra si è spontaneamente staccata dalla sua sede (!!!); per fortuna non si è rovinosamente frantumata sul pavimento o, peggio, addosso a qualcuno, ma nella notte c’erano un bel po’ di spifferi… brrr.
La cosa più notevole, a Liverpool, penso sia la gigantesca cattedrale neogotica. Lo spazio all’interno toglie il fiato e, salendo sulla torre, si hanno belle vedute sia sulla città che sul maestoso interno dell’edificio. Abbiamo anche visitato la Tate Gallery, che presentava a tratti opere notevoli: in particolare sono da non perdere un Manet ed alzuni Cezanne. Mathew Street, la “via dei Beatles”, mi ha lasciato un’impressione mista: mi aspettavo un maggior grado di kitch e più memorabilia Beatles, invece per fortuna la cosa era limitata, anche se lì si può trovare praticamente tutto sull’argomento. In giro ci sono anche persone conciate come i Beatles. I Cavern ora sono 2 (!), ed anch’essi sono zeppi di memorabilia. Il vedere tutto ciò mi ha fatto sembrare che il fenomeno Beatles fosse roba non di 50, ma di 5000 anni fa: ha tutto un senso di “bei tempi andati”, di cui rimane solo il ricordo e, soprattutto, la nostalgia.
La sera Liverpool si affolla molto, peccato che quasi tutti i locali (persino i pub!) pratichino una severa selezione sull’abbigliamento (niente scarpe da ginnastica, ed io non indosso altro). Alla fine siamo stati al Cavern (il pub) a sentire una buona cover band (che, grazie al cielo, non eseguiva solo pezzi dei Beatles) e poi in un rock club simpatico, anche se un po’ troppo dedito alla musica indie per i miei gusti più… metallosi.
Venerdì 3 ottobre 2003
Dissoltasi la possibilità di pernottare a Manchester (non c’era posto da nessuna parte, lo United giocava in casa) abbiamo optato per andare e tornare in giornata (sono solo 40 minuti di treno), dormendo ancora a Liverpool.
Manchester è persino carina, con i tipici edifici in mattoni rossi, ma non esattamente imperdibile. Ciò che invece è imperdibile, per chiunque segua anche marginalmente il calcio, è l’Old Trafford, il fantastico stadio in cui gioca il Manchester United, ed in cui abbiamo trascorso l’intera mattinata. Il biglietto per il museo ed il tour costa un esoso ammontare di UKP 8.50, ma le vale tutte. Il museo presenta, tra le altre cose, le maglie di vecchie leggende quali Bobby Charlton, Denis Law e, ovviamente George Best (riconosciuto come il miglior giocatore di sempre anche da personaggi come Pelè). Vi sono inoltre i ricordi dell’incidente aereo in cui mezza squadra perse la vita, con Charlton grande eroe nelle operazione di salvataggio e Sit Matt Busby salvo per miracolo. La statua del grande allenatore degli anni ‘60 domina ancora oggi l’ingresso dello stadio. Il tour include la visita a tribuna, spogliatoi, varie salette, ed oviamente al campo (che è vietato calpestare). Attenzione a non capitare nei giorni in cui gioca lo United (un sabato su due, di solito): le visite non sono possibili, ed è inutile qualsiasi tentativo di ottenere un biglietto per la partita, poiché la squadra registra il tutto esaurito (oltre 68000 posti) anche per la più insignificante amichevole estiva. Durante il tour, Gabriele ha imprudentemente chiesto alla guida informazioni sul Manchester City, l’altra squadra della città: per fortuna il tizio era tranquillo e, mantenendo il suo aplomb, ha tenuto a bada l’odio per il City rispondendo gentilmente.
Una volta rientrati a Liverpool, mi sono concesso una cena solitaria in una pizzeria decente, mentre Gabriele continuava con i take away. Io non ce la facevo proprio più, in definitiva mangiare è uno dei piaceri della vita. Dopo il consueto salto al Cavern e dopo una birra in un altro locale, siamo andati a dormire. Io ero alla frutta: avevamo camminato tutto il giorno, e la sera mi ero anche cimentato in una scarpinata solitaria fino al porto.
Della Liverpool serale non mi è rimasta una grande immagine. Tutti sono in gran tiro, e tra l’altro non mi era ben chiaro come facessero le ragazze ad indossare (s)vestiti così minimalisti mentre io ero bardato con felpa e giacca (e non sono per nulla un tipo freddoloso). I locali fanno troppa selezione e, compelssivamente, non ho mai adorato la gente troppo fighettina che li frequenta. Forse io non sono che un rustico provinciale, però quella gente era troppo diversa da me perché io potessi trovarmi bene assieme a loro. Rispetto all’Irlanda, Liverpool è un altro mondo.
Sabato 4 ottobre
Londra! Di nuovo! 49 sterline di treno da Liverpool! Va beh, anche se non è esattamente la mia città preferita, c’è sempre molto da fare a Londra.
Preso posto al St. Christopher’s Village (decente, e solo UKP 8.00/notte, metro Borough), abbiamo assaltato il National Gallery, che avevo colpevolmente tralasciato nel corso delle mie precedenti incursioni nella capitale inglese. È incredibile quanti quadri ci siano, in particolare ho avuto la possibilità di ammirare alcune opere di Cezanne, Degas e Van Gogh, pittori ai quali sono particolarmente affezionato. Purtroppo alle 18 siamo stati buttati fuori poiché la galleria doveva chiudere.
Avevo bisogno di un’altra cena decente, che si è manifestata sotto forma di grande bistecca (12 once) all’Hard Rock Café di Hyde Park Corner. Ci siamo poi trasferiti al Dublin Castle di Camden Town, simpatico ed affollato pub con musica dal vivo. Abbiamo in seguito tentato di entrare in un rock club sempre a Camden Town, ma c’era troppa coda. Abbiamo dunque optato per un altro rock club, dalle parti di Tottenham Cour Road: pregevole. Il ritorno è stato duro: avendo sottostimato la distanza tra Tottenham Cour Road e Borough, abbiamo percorso a piedi tutta la strada, passando per la City, impiegando oltre un’ora (di buon passo).
Domenica 5 ottobre
Abbiamo trascorso la giornata in giro per Londra, a partire dal fantastico mercato di Camden Town. Avrei voluto comperare di tutto, ma chiaramente alla fine non sono riuscito a decidere di prendere alcunché. Troppa scelta. ;-) In compenso ho mangiato due ottimi biscotti fatti in casa, venduti al mercato direttamente dalla signora che li faceva.
Avevo più volte letto articoli sui nuovi dockland, sorti sulle ceneri del porto dell’Impero, che fino a 70 anni fa era il più grande hub commerciale del pianeta. Siamo dunque andati a Canary Wharf per dare un’occhiata. Devo dire che il luogo non è male, e lo si capisce già dalla stazione della metropolitana disegnata da Norman Foster, che ha progettato anche parte del Millenium Birdge ed il futuristico terminal dell’aeroporto di Stansted. L’area è composta fondamentalmente da piazze, fontane, docks ed alti grattacieli; sono solo uffici e negozi, ma il colpo d’occhio è eccezionale.
Nel pomeriggio abbiamo visitato i monumenti “classici” (Big Ben, Westminster, …), poiché Gabriele non li aveva mai visti. In breve si è fatta sera, tempo per l’ultimo fish&chips in ostello e per una fantastica fetta di torta di mele in un intimo pub a Notting Hill. Poi, a nanna!
Lunedì 6 ottobre
Ci siamo alzati presto, alle 6.30, per prendere il treno delle 8.00 da Liverpool Street a Stansted. Andare a piedi da Borough (a sud del Tamigi) fino alla stazione ancora col buio è stata una della cose più interessanti di Londra: abbiamo attraversato la city, uno dei maggiori centri finanziari del pianeta, mentre si sveglia, con i locali che aprono, la gente che si affretta verso il lavoro, la cattedrale del capitalismo che si popola. Fantastico!
Praticamente ho dormito tutto il viaggio, sia nel treno per Stansted che in aereo, così non ho patito come al solito il mio fastidio nel volare. Nel mio fantastico Friuli diluviava, ma una buona sorpresa l’ho avuta: la mia Clio (anzi, la Clio di mia madre), parcheggiata in sosta vietatissima su un’isola spartitraffico per due settimane, non era stata né rimossa né multata.
La fine del terzo viaggio backpacker merita qualche riflessione. Nel primo, solitario, viaggio, ho visto un numero limitato di posti ma li ho visitati bene, ho preso tempo per conoscere la gente negli ostelli e per passarci un po’ di tempo assieme. Nel secondo ho visto un sacco di posti, alcuni dei quali bellissimi, ma ho corso spostandomi quasi ogni giorno. In quest’ultimo viaggio alla fine ho preso un po’ dal primo ed un po’ dal secondo, alternando momenti di rapidi spostamenti ad altri di permanenza più lunga nello stesso posto. In ogni caso non siamo mai rimasti per più di due notti in un luogo. In definitiva mi sono trovato meglio la prima volta, e probabilmente il modo “tranquillo” è quello migliore, solo che ci vorrebbe molto più tempo per vedere le stesse cose che si riescono a vedere il modalità “mordi e fuggi”.
Eh, cosa avete chiesto? Ah, ancora se è meglio il viaggio solitario o quello in compagnia? Ricordate: in compagnia ci si diverte sempre, ma da soli ci si diverte allo stesso modo, si conosce più gente e… della compagnia di se stessi non ci si stufa mai. ;-)